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RiconquistiamoTutto nella FLC sulla situazione d’emergenza nelle scuole, la mancanza di sicurezza, le necessità della mobilitazione.
Da questo lunedì tornano a scuola, in presenza a rotazione, altri centinaia di migliaia di studenti (medie e superiori in Lombardia, medie in Campania, superiori in Liguria, Marche e Umbria). Questo ritorno a scuola non è in sicurezza: nelle aule infatti non è cambiato nulla rispetto all’autunno [nell’affollamento delle classi, nelle distanze limitate, negli organici disastrati, nei dispositivi di sicurezza insufficienti, nei tracciamenti mancanti]; nel trasporto molto poco [visto che le risorse messe a disposizione sono servite più a riequilibrare società pericolanti che a sviluppare nuovi servizi].
Questa ripresa dell’anno scolastico ha evidenziato una disarticolazione del diritto alla salute e all’istruzione. Da una parte il governo ha affidato pieni poteri ai prefetti [con un DPCM], che, con potere commissariale hanno deciso sopra e fuori dalla scuola la sua organizzazione e le forme della sua didattica [sospendendo di fatto sia le prerogative degli organismi collegiali, sia il contratto nazionale di lavoro]: un potere eccezionale [da Stato di eccezione] che ha imposto su base provinciale scelte e turnazioni senza senso didattico o di vita (a partire dalla pausa pranzo), diversificando diritti e servizi secondo criteri discrezionali. Dall’altra le Regioni, muovendosi negli spazi a loro concessi dalla riforma del Titolo V della Costituzione, hanno imposto provvedimenti diversi sui tempi e le modalità della riapertura, arrivando anche a lasciare la libera scelta alla famiglie [senza alcun senso didattico e organizzativo, terremotando la scuola di tutti/e]. Le scelte compiute, infatti, non sono in relazione alle diverse curve epidemiche, ma sono portate avanti sulla base delle diverse priorità politiche. Così si è accelerato nei fatti quel processo di autonomia differenziata, in particolare nei servizi universali, proposto da tempo da alcune Regioni e dalle forze politiche. Sarebbe ora, proprio a partire dalla valutazione dei disastri che la regionalizzazione ha prodotto nella sanità e nei trasporti di rimettere radicalmente in discussione non solo qualunque progetto di autonomia differenziata, ma anche il Titolo V della Costituzione e il suo impianto federalista.
La situazione sanitaria non è in via di risoluzione, come oramai è evidente. Mentre la seconda ondata non si è mai completamente spenta, incombe la possibilità di una terza ondata segnata da nuove varianti del Covid19 [a più alta contagiosità e che si diffondono in particolare nelle giovani generazioni]. Una dinamica che, in ogni caso, rende più incerte le campagne vaccinali e la definizione della loro soglia di sicurezza.
In questo quadro, stiamo vedendo gli effetti della scelta di affidare a multinazionali la produzione dei vaccini. Nello scorso anno miliardi di euro pubblici, in tutto il mondo, sono stati investiti in diversi vaccini [partendo da quanto si è già scoperto contro i coronavirus]. Le grandi risorse a disposizione, la capacità scientifica e tecnica raggiunta nella società moderna, il pieno appoggio dei servizi sanitari, universitari e della ricerca pubblica, hanno permesso di arrivare a questi vaccini in tempi incredibilmente brevi. La ricerca e lo sviluppo di questi vaccini sono però stati affidati a grandi multinazionali farmaceutiche, che da anni dominano il settore. Queste multinazionali hanno un unico obiettivo: la moltiplicazione del proprio fatturato e quindi dei propri profitti (la stima dei ricavi di Pfizer sul vaccino Covid nel 2021 è di 19 miliardi di dollari, con un investimento fatto di due miliardi). Nulla di stupefacente o imprevisto, in un modo di produzione capitalista. Così in queste settimane scopriamo dilazioni, ritardi e mancate consegne, non per problemi o interruzioni delle linee produttive, ma per speculazioni in corso da tempo [nel quadro di un evidente competizione tra potenze e poli imperialisti]. Anche qui si rivela con evidenza il ruolo che questo sistema di produzione ha avuto nell’agevolare questa pandemia.
La scuola italiana sarà colpita in modo diretto dalle speculazioni sui vaccini delle multinazionali. La rimodulazione della campagna vaccinale, come emerge in questi giorni sui giornali, vedrà le coperture del personale scolastico sostanzialmente rimandate a questa primavera, arrivando a dispiegare i suoi effetti ad anno scolastico concluso. Nel frattempo, le scuole rimarranno insicure, veicolo di contagio sociale (visto le masse che mettono in movimento) e quindi da una parte luogo di rischio, dall’altro soggette a continue chiusure e interruzioni. Una condizione che si scarica in particolare sulle classi subalterne ed i soggetti deboli, con una didattica a distanza che, anche per come è stata strutturata, pone evidenti problemi alla salute (psicologica e fisica) e moltiplica le disuguaglianze colpendo proprio di quei soggetti che hanno meno risorse a disposizione [condizioni economiche e supporti ai loro percorsi di vita].
In questo quadro sanitario, sociale ed educativo, acquista sempre più senso la proposta di un lockdown totale, avanzata anche da alcuni virologi ed epidemiologi, della durata di alcune settimane e che permetta di contenere radicalmente la seconda ondata, di bloccare la sviluppo della terza, di realizzare quindi su queste basi una reale campagna di vaccinazioni di massa. Lo dimostrano i paesi che hanno praticato questa via, al di fuori del continente europeo.
Proprio per la gravità del quadro sanitario, in ogni caso, la scuola ha bisogno di interventi immediati. Per riaprire in sicurezza, per offrire poi una reale continuità, per provare a delineare un grande intervento di recupero delle disuguaglianze prodotte in questi mesi, servono risorse. È necessario rivedere protocolli e indicazioni di sicurezza (a partire dal metro statico tra rime buccali, visto che bambini e studenti non sono statici nella loro vita scolastica, per arrivare ai DPI del personale, garantendo ad esempio mascherine FFP2 in scuole d’infanzia e primarie). Serve smezzare le classi per ridurre affollamenti e garantire la possibilità reale di percorsi di recupero, nel corso dell’anno scolastico, laddove si rendono necessari per gli studenti: servono quindi nuovi organici e spazi (garantendo così anche bolle di contenimento nello spazio scolastico) e serve mantenerli nel tempo, per poter appunto riavviare percorsi di apprendimento e di sviluppo. Servono tracciamenti e presidi sanitari in ogni istituto, per identificare sul nascere i nuovi contagi ed evitare ogni interruzione dei percorsi didattici. Serve stabilità in tutto il personale scolastico, garantendo così non solo stipendi e sicurezza per i dipendenti (parte del personale covid non è ancora stato pagato per questi mesi di lavoro!), ma per dare continuità e prospettive di lavoro alle classi ed alle scuole: per questo serve subito trasformare il concorso precari in una procedura di stabilizzazione sulla base di titoli e servizi, ed anzi allargare le assunzioni (per evitare come quest’anno che un quinto del personale della scuola, 210mila persone, sia precario). È fondamentale dare avvio contemporaneamente ad un piano di stabilizzazione del personale ATA, per colmare i 50000 tagli causati dalle riforme Gelmini/Brunetta.
Queste esigenze sono oramai largamente avvertite nella scuola. A Roma, ad esempio, si sono moltiplicati gli appelli, i documenti e le prese di posizione (dal Tasso al Mamiani). Sulla stessa linea si sta muovendo un appello nazionale di RSU della FLC, sostenuto da centinaia di lavoratori e lavoratrici (LINK). Anche gli studenti delle superiori, da Roma a Milano, in questi giorni si mobilitano, scioperano ed occupano le scuole. Sarebbe necessario che la FLC, che tutte le organizzazioni sindacali, si facessero carico delle rivendicazioni e delle richieste portate avanti da studenti e insegnanti: mettendo in campo il loro peso, la loro forza, la loro capacità di ricomporre e organizzare i diversi punti di vista in una prospettiva generale e su un tema che unisce tutti, la sicurezza. Non lo stanno facendo. Non agiscono con la necessaria determinazione e forza contro la politica di questo governo. Lasciando così spazio a pulsioni e spinte diverse, confuse e contraddittorie, che favoriscono alla fine uno stallo di fatto (dalle richieste di apertura immediata a quelle di didattica a distanza sino a giugno).
Il 29 gennaio è previsto uno sciopero generale, promosso dall’assemblea dei lavoratori e delle lavoratrici combattive, indetto dal SiCobas, sulla base di una piattaforma generale e ricompositiva. In territori e realtà dove oggi si sta sviluppando un’attivazione e una presa di parola collettiva, è un’occasione di generalizzazione della resistenza e delle lotte. Per questo ci auguriamo la sua riuscita, l’ampia partecipazione ed adesione di lavoratori e lavoratrici, come tappa di sviluppo di un percorso di estensione e convergenza della mobilitazione.
In ogni caso, deve crescere nella scuola questo processo di attivazione e mobilitazione di lavoratori e lavoratrici, studenti e famiglie. Per questo riteniamo importante sostenere e far crescere, in ogni territorio ed in ogni ciclo scolastico, una presa di parola collettiva: appelli e creazione di coordinamenti delle RSU, mozioni dei collegi docenti, odg delle assemblee sindacali, documenti sottoscritti da lavoratori e lavoratrici e creazione di comitati di lotta in ogni scuola sulle questioni della sicurezza, della stabilizzazione dei precari e della salute. Serve puntualizzare con chiarezza le rivendicazioni, serve diffondere lo stato di agitazione in ogni realtà scolastica, serve far lievitare la richiesta di uno sciopero generale dell’istruzione e della ricerca [invece di firmare accordi come quello del 2 dicembre con l’Aran, che penalizza gravemente il diritto di sciopero]. Solo la mobilitazione ed il protagonismo di lavoratori e lavoratrici della scuola, insieme agli studenti, può portare ad ottenere scuole in presenza e in sicurezza.
Riconquistiamo Tutto nella FLC
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